Neve a Firenze 2011

Neve a Firenze 2011

giovedì 6 ottobre 2011

Un morso alla mela in garage e Steve Jobs inventò il futuro

«Ho sempre detto che se fosse arrivato il giorno in cui non avrei potuto più affrontare i miei doveri di a.d. di Apple sarei stato il primo a farvelo sapere»

di BEPPE SEVERGNINI

Come si riconosce un genio? Qual è il confine tra un imprenditore e un rivoluzionario, tra un produttore di oggetti e un progettista di futuro? Forse accade quando un' industria forma una cultura, un prodotto si trasforma in un' abitudine e un uomo diventa un paradigma: testa inimitabile, vicenda imprevedibile, successo irriproducibile. È il cervello che conta: i girocollo neri e i Levi' s 501 si comprano.
È stato costretto a diventare un personaggio, Steven Paul Jobs. Lo è anche oggi, dopo aver lasciato il timone al fidato Tim Cook, e aver scritto - con un ottimismo che è il sale e il segno dell' America - «credo che i giorni migliori e più innovativi di Apple siano davanti a noi». Da utenti appassionati ce lo auguriamo, anche di fronte all' evidenza della malattia. Ma diciamolo: anche i giorni dietro di noi sono stati memorabili, comunque vada.
Apple è nata con Steve Jobs, senza di lui era moribonda, con lui è risorta. C' era una mistica, nel marchio della mela morsicata, in cerca di un profeta. Ma l' aspetto ieratico, il carattere difficile, l' egocentrismo e gli annunci teatrali non sarebbero bastati. L' America è piena di personaggi, sceneggiature e coreografie. La differenza l' hanno fatta i prodotti.
Il Macintosh, o Mac, è stato il primo personal computer di successo dotato di un mouse e di un' interfaccia grafica: le icone sostituivano i comandi digitati sulla tastiera (command-line interface, terminal emulator). Un cubo magico, una stranezza e una provocazione. Uno schermo che sorrideva, accendendosi. Venne lanciato da una pubblicità televisiva firmata da Ridley Scott, trasmessa durante il terzo quarto del Super Bowl XVIII il 22 gennaio 1984: una citazione di George Orwell, un invito a salvare l' umanità dal conformismo di IBM, e dai suoi tentativi di dominare il mondo dei computer.
Ricordo l' emozione, una domenica mattina, a New York: ho visto una borsa cubica per computer, l' ho comprata e ho deciso che qualunque cosa andasse lì dentro dovesse essere geniale. Venticinque anni dopo, posso dirlo: non mi sbagliavo.
Come tutti gli appassionati - una setta oggi diventata una chiesa, con i suoi conformismi - ho resistito sulla barca di Apple attraverso tutte le successive tempeste: la cacciata di Jobs, un portatile pesante e sbagliato (Macintosh Portable, 1989), un altro piccolo e fascinoso (Powerbook 140, 1991), la serie prevedibile dei Performa (1992-1997) e finalmente, con il ritorno di Steve J., l' approdo su coste sicure. Nel 1998 il momento decisivo: il coloratissimo iMac, disegnato da Jonathan Ive - lo stesso di iPod e iPhone. Più di 800.000 pezzi venduti nei primi cinque mesi, software nuovo e sorprendente (per foto e video): si avvicinava la fine del secolo e la fine dell' esperienza - eccitante, irritante - di sentirsi in minoranza. La domanda «Ma è compatibile?» (sottinteso: con i programmi Microsoft) perdeva significato. L' avvento di Internet e del protocollo IP livellava il campo. E in quel campo improvvisamente piatto, il cavallo di Steve Jobs non aveva rivali.
La storia è sufficientemente nota: iTunes è del gennaio 2001, iPod dell' ottobre 2001, iPhone del 2007, iPad del 2010. Quella piccola «i» che precede i nomi è stato un grande colpo di marketing: in inglese suona come «io», e fotografa il decennio dell' autoindulgenza. Ma c' è molto di più, nell' intuizione di Jobs. Quegli oggetti sono diventati l' icona emotiva degli anni Duemila. Guardiamo un iPhone - o una delle sue molte imitazioni - e vediamo il ponte tra il passato prossimo e l' immediato futuro.
La biografia dell' uomo che ha creato questo può apparire eccezionale, ma contiene diversi elementi che lo avvicinano ad altri connazionali che hanno fatto la storia. Come Barack Obama, Steve Jobs è nato da uno studente straniero e da una ragazza americana (il padre biologico era siriano, Steve venne adottato da Paul and Clara Jobs, genitori di grande cuore e pochi mezzi). Come il coetaneo Bill Gates - entrambi del 1955, ambedue esordienti nel garage di casa - SJ s' è rivelato un fallimento accademico. Bill ha lasciato Harvard, dopo essersi distinto nel calcolo e nel poker; Steve ha mollato Reed College (Portland, Oregon) dopo un solo semestre, ma ha continuato a frequentare i corsi che gli interessavano, mentre riciclava bottiglie di Coca-Cola a 5¢ per guadagnarsi da vivere. Uno in particolare: quello di calligrafia, che anni dopo gli avrebbe suggerito di dotare il Mac di una grafica rivoluzionaria, prontamente imitata da Microsoft e da tutti gli altri. «Unire i puntini», dice ora SJ con insolita modestia.
Sia chiaro: l' uomo, per quanto brillante, non ha l' esclusiva dell' intuizione e dell' innovazione. Ci sono stati - nello stesso Paese, nella stessa industria - fuoriclasse prima di lui e dopo di lui (Intel, Microsoft, Amazon, Google, Facebook e Twitter ne sono la prova). La capacità di Jobs è stata quella di trasformare una fantasia in un prodotto. Non tutti se la sentono. Tredici anni fa, in un' intervista per il «Corriere della Sera», Bill Gates mi ha detto: «Io do per scontato l' avvento di una grossa novità: una tavoletta portatile che ha una risoluzione tale che ci permetterà di leggerla a letto e di tenerla nella borsa». Però iPad non l' ha fatto Microsoft. L' hanno fatto Apple e Steve Jobs.
Una qualità che è di pochi: essere profondamente contemporanei e, insieme, sempre un poco avanti. Saper sognare e, con la stessa baldanza, reagire alla distruzione dei sogni. Il fallimento in America non è un marchio d' infamia: vuol dire, come minimo, averci provato. Cacciato dalla Apple - «la cosa migliore che mi sia capitata nella vita» - il trentenne Steve ha fondato Pixar, e Pixar ha creato Toy Story, il primo film di animazione creato da un computer. Nella sua autobiografia, John Sculley, l' ex dirigente della PepsiCo che estromise Jobs nel 1985, ridicoleggiava così le ambizioni del rivale: «Per lui Apple avrebbe dovuto diventare una meravigliosa società di prodotti di largo consumo. Un progetto lunatico. L' high-tech non può essere progettata e venduta come un prodotto di consumo». How wrong can you be, ma quanto ci si può sbagliare, ha scritto il «Financial Times», commentando l' infelicissima profezia.
Steve Jobs è certamente un vincitore: non un uomo mite. È un personaggio che ha inventato il futuro, come recita il titolo della biografia scritta da Jay Elliott, ex vicepresidente esecutivo Apple, con William L. Simon (Hoepli, 2011). Un uomo consapevole del suo valore, e poco disposto alle critiche: Apple Store rifiutò una biografia poco rispettosa (poi riammessa). La rivista «Fortune» ha scritto nel 2007: «Steve Jobs è considerato uno dei principali egomaniaci della Silicon Valley». Il co-fondatore di NeXt, Dan' l Lewin, ricorda così il lavoro insieme, negli anni Ottanta: «Alti e bassi. Gli alti erano incredibili, ma i bassi erano inimmaginabili». L' ufficio di Jobs ha risposto: «Il suo carattere è cambiato, da allora».
Cambiato, certo: ma nessuno sembra sapere esattamente come fosse, e cosa sia diventato. Si favoleggia di una relazione giovanile con Joan Baez - meritevole di aver amato Bob Dylan. Si cita spesso una passione per i Beatles, indicati come modello di business («Erano quattro ragazzi che tenevano sotto controllo le reciproche tendenze negative, si equilibravano a vicenda. E il totale era più grande della somma delle parti»). Come tutti i miliardari americani Jobs ha acquistato case a New York che non ha abitato, guida Mercedes senza targa e coltiva curiose abitudine alimentari: è un «pescetariano», solo pesce niente carne. Dettagli.
Tre anni fa, il 28 agosto 2008, Bloomberg ha pubblicato per sbaglio il suo necrologio, con tanto di spazi bianchi per la data e la causa di morte. Steve ha risposto con umorismo, citando Mark Twain: «Reports of my death are greatly exaggerated», le notizie sulla mia morte sono notevolmente esagerate. Ma da allora non ha più risposto a domande sulla salute. «Nessuno vuol morire», ha detto anni fa. «Anche quelli che sono sicuri di andare in paradiso non hanno alcuna fretta». Dev' essere ben strano per lui lasciare il comando mentre Apple vale in Borsa quanto le 32 maggiori banche europee. «Un piccolo capolavoro» l' ha definito ieri Luca Annunziata su «Punto Informatico»: «Steve Jobs sembra riuscito a trasformare anche le sue dimissioni da Ceo di Apple in un momento topico e nodale dell' esistenza dell' azienda che ha contribuito a plasmare, rilanciare, che ha portato al successo. Jobs lascia in un momento critico dell' economia globale, in cui le Borse faticano e la sua azienda nonostante tutto tiene e guadagna». Così è: l' uomo non finisce di sorprendere.
Il 12 giugno 2005 Steve Jobs ha parlato ai laureati di Stanford. In quel «commencement address» - noi lo chiameremmo pomposamente lectio magistralis - ha spiegato la sua filosofia di vita e di lavoro, e ha parlato della malattia con un ottimismo che - a distanza di sei anni, un trapianto e molte ansie - appare commovente. Un discorso di quindici minuti, che consigliamo di ascoltare in Rete: «They only way to do great work is to love what you do. If you haven' t found it yet, keep looking, and don' t settle», l' unico modo di fare un grande lavoro è amare quello che fate. Se non l' avete ancora trovato, continuate a cercare, e non accontentatevi. Come consiglio di un egocentrico, sembra abbastanza visionario.

(26 agosto 2011)
Beppe Severgnini

Assignment 3

Il cyberspazio….Ecco cosa mi crea ansia, l’assenza di limiti, e la paura di non riuscire a distinguere nell’infinità di risorse ciò che veramente può essermi utile. Così quando navigo in internet apro sempre le stesse pagine, col risultato di non arricchire le mie conoscenze, e di non usare internet come dovrei. Più per pigrizia probabilmente, ma fin’ora ho sempre rimandato il problema. Penso di essere riuscita a svincolarmi dalla mera “istruzione” in molti campi ma non in questo, ed è ovvio che non è un problema di natura tecnica a bloccarmi, ma un problema mentale. Sono, come dire, “scolarizzata” da questo punto di vista, e devo ancora creare la mia rete di connessioni… non sono spaventata dalla difficoltà, ma sicuramente dal tempo che potrei impiegarci; anche se sono consapevole che sarebbe un investimento per quello che potrei ricavarne. E’ proprio questo il problema: io capisco il punto di vista del pamphlet, ma ora come ora, anche se lo capisco, nel profondo non ci credo… voglio dire, mi sembra di perdere di vista la vita, anche se capisco che vita è anche la rete creata dagli uomini per altri uomini. In futuro cercherò di fare un po’ mia questa concezione, cercherò di esplorare e conoscere il metaforico bosco, ma il fatto è che in questo momento preferisco una chiacchierata con gli amici piuttosto che una passeggiata solitaria nel bosco… che dire, saranno tutte idee frutto della scolarizzazione, o sarò all’antica, certo è che non mi ero mai posta il problema prima di questo corso, quindi, vada come vada, per me è un arricchimento. Da ora in poi cercherò di far entrare nel mio PLE internet, iniziando proprio ad usare i feed, che ho scoperto un mese fa, con lo spirito di chi deve apprendere, che non deve mai mancare.


Infatti penso che per essere veramente consapevoli di ciò che accade nel mondo sia necessario formarci una nostra opinione confrontando diverse fonti, e questa è una cosa che possiamo fare solo come abitanti del cyberspazio. Come Leopardi con la biblioteca del padre, oggi l’abitante consapevole del cyberspazio secondo me viene ad essere una delle persone più capaci di capire il significato degli eventi contemporanei. Bisogna anche essere in grado di trovare un equilibrio con la vita di tutti i giorni, quella fatta di gesti parole ed emozioni, e non rimanere a guardarla affacciati ad una finestra.

La guerra umanitaria

" Adesso ci sono i soldi della guerra. Quella che promette aiuti. È diventata buona la guerra, umana, generosa, compassionevole, umanitaria? No, ma deve farlo credere. È fondamentale creare consenso alla guerra, far vedere che belle cose produce. Ci avevano già provato in Kosovo. L'idea della 'guerra umanitarià' si è formata sostanzialmente in quell'occasione: quando si decide di bombardare, di ammazzare, conviene garantire che dopo arriveranno gli aiuti. Certo si tratta di molto danaro, ma in fondo costa quanto un giorno o due di guerra, è un costo aggiuntivo che vale la spesa: è pubblicità, è comunicazione. E il mondo 'umanitario', in buona misura, è stato al gioco. "

" Nella macchina della guerra, c'è posto anche per il mondo umanitario. Anzi, un posto importante, una specie di nuovo reparto Cosmesi della Guerra. Far vedere quanti aiuti arrivano con la guerra, quante belle cose si possono fare per questa povera gente. Per i sopravvissuti, naturalmente.  " 


" Sono quindici anni che vedo atrocità e carneficine compiute da vari signori della guerra, chi si diceva di "destra" e chi di "sinistra", e non ci ho mai trovato grandi differenze. Ho visto, ovunque, la stessa schifezza, il macello di esseri umani. Ho visto la brutalità e la violenza, il godimento nell'uccidere un nemico indifeso. "


.....

sono tutte citazioni da Gino Strada, un uomo ed un medico che ammiro.

Sono contenta che anche in un mondo sbagliato e ingiusto, ci siano persone come queste....

Possiamo davvero fare qualcosa di bello, se lo vogliamo.





" Uno dei principi della nostra organizzazione, che spieghiamo al personale medico e paramedico disposto a partire con noi, è semplicissimo: "Non si va nei paesi del cosiddetto 'Terzo mondo' a portare una sanità da Terzo mondo. Un ospedale va bene quando tu saresti disposto, senza esitazione, a ricoverarci tuo figlio, tua madre, tua moglie. "



 " Qualcuno ci critica per questi "particolari", i "lussi" non strettamente necessari alla sopravvivenza dei pazienti: le pareti affrescate nelle corsie pediatriche, la cura maniacale della pulizia, dei pavimenti lucidi, dei servizi igienici in cui si sente l'odore dei detersivi. Dicono che c'è sproporzione rispetto al livello del paese, alle devastazioni della guerra che segnano il territorio appena fuori il muro di cinta dell'ospedale. Ma perché? Costa poco di più mettere nel giardino bougainville, gerani e rose. E altalene. Costa poco e aiuta a guarire meglio. Sono sicuro che i nostri sostenitori, quelli che sottraggono cinquanta euro alla pensione, o che consegnano agli amici, come lista di nozze, il nostro numero di conto corrente postale, sono d'accordo con questa scelta. "

Assignment 1

Buonasera! un'ora fa non avevo idea di cosa fosse un feed rss, ma devo dire che, grazie all'attenta osservazione di vari video, non è stato difficile utilizzarli...come si fa a trovare i feed rss nei siti che siamo interessati a seguire? 
-vado sul sito che mi interessa
-cerco la scritta feed, RSS () , oppure un'immagine come questa:

- copio l'indirizzo del link su "aggiungi un'iscrizione" dell'aggregatore che uso: Google Reader

Sulla homepage del sito de La Repubblica,in basso a destra trovo: feed RSS ed un elenco che divide le varie categorie: scelgo homepage. Dopo aver aggiunto l'iscrizione su google reader ho anche aggiunto il feed come gadget di questo blog.
Sulla homepage di Le scienze ho trovato  in alto a sinistra sotto la dicitura HOME: ho scelto  Medicina.
Sul sito di National Geographic il feed si trova come immagine sotto la barra di ricerca, vicino a quelle di twitter e facebook.
Sul sito del SISM trovo in alto a destra: feed-image RSS.

Spero di essermi spiegata, vi assicuro che non è difficile, ci sono riuscita io!
 BUON LAVORO !!!    

Assignment 6

 

Sono molto contenta che imparare ad usare pubmed sia stato incluso nel nostro corso di informatica, cosa molto intelligente e pratica in effetti, già che siamo ad imparare come usare internet e le sue risorse…

Il tutorial video mi è stato utile, soprattutto nell’ultima parte che riguarda l’accesso tramite proxy, di cui ovviamente non avevo idea…ma, cominciando dall’inizio: pubmed è una banca dati dove vengono raccolte le pubblicazioni scientifiche di tutto il mondo e in tutti i campi della medicina, del quale fanno uso tutti i medici che si vogliano aggiornare. La ricerca degli articoli si può fare tramite parole chiave, nome dell’autore, anno di pubblicazione etc, e si possono impostare dei limiti come per esempio “ultimo anno” per quanto riguarda la data di pubblicazione, o limiti di altro genere che restringano il campo di ricerca. Inoltre la ricerca avanzata permette di associare più parole chiave, una volta ristretto il campo però ci si trovano davanti molti articoli che si possono leggere solo se ci si abbona alla rivista da cui sono tratti, e altri, la minoranza, sonno disponibili in free full text. A questo punto ci viene in aiuto la nostra università, che avendo acquistato gli abbonamenti alle riviste più importanti, ci permette di visualizzare gli articoli accedendo al sito mediante il suo server proxy. Per farlo bisogna cambiare le impostazioni del nostro browser, e per questo torna molto utile la pagina http://www.csiaf.unifi.it/CMpro-v-p-680.html dove ci forniscono le istruzione necessarie. Una volta fatto questo, si accede a pubmed dopo aver digitato matricola e password e il gioco è fatto, l’ultima cosa da fare è cambiare le impostazioni se si vuole continuare a navigare su altri siti, per non rimanere vincolati al filtro impostato per il proxy dell’università.


Ultima cosa, molto importante però: sapere l’inglese!! O altrimenti, come è stato consigliato, usare http://translate.google.it/ oppure http://lingro.com/ che si è appena guadagnato un posto nella mia barra dei preferiti (non lo conoscevo!).


Dopo tutta questa spiegazione, vorrei fare un commento sui due articoli citati da iamarf: http://www.economist.com/node/8733754?story_id=8733754 e http://www.economist.com/node/12376658?story_id=12376658

dagli studi risulta che molte pubblicazioni scientifiche si rivelano in un secondo momento false, per vari motivi; il primo è l’uso di certi metodi statistici, che sono validi se applicati ad una sola variabile, ma se usati su molte, possono risultare affidabili quanto l’oroscopo; un altro motivo è che gli articoli, per essere pubblicati sulle riviste più prestigiose, devono essere più drammatici o comunque avvincenti, e alla fine sono questi gli studi che per la maggior parte si rivelano falsi, mentre quelli pubblicati su riviste minori vengono smentiti in minor quantità. Ho trovato interessante il fatto che secondo questi studi vengono pubblicati molti più articoli sul successo clinico di alcuni farmaci, piuttosto che sull’insuccesso di altri. 


In conclusione, noi futuri medici  non dovremo solo tenerci aggiornati, ma anche saper discriminare tra le pubblicazioni. Mi rimane solo un dubbio...Saranno smentiti anche questi studi un giorno? Sempre, sempre mantenere sguardo critico!

una delle più belle canzoni..

http://www.youtube.com/watch?v=qemWRToNYJY

Neutrini più veloci della luce!

http://www.repubblica.it/scienze/2011/09/23/news/neutrini_conferma-22100395/

Oggi giovedì 06 ottobre ci lascia Steve Jobs

http://www.youtube.com/watch?v=UF8uR6Z6KLc

Crozza incredibile

http://www.youtube.com/watch?v=ccqveHPQiCs&feature=player_detailpage

Napolitano "al sud si lavora in condizioni bestiali"

"L’Italia di tutto ha bisogno fuorché di essere divisa da pregiudizi e da contrapposizioni che non ci portano da nessuna parte. Occorrono spirito di sacrificio e slancio innovativo per ricollocare l’Italia in un mondo che è così cambiato”

http://tv.repubblica.it/edizione/torino/napolitano-al-sud-si-lavora-in-condizioni-bestiali/77673/76064?video